Audio, fede, audiofilia… dove finisce la ragione?

(recuperato da uno scritto del 2007)

 

Correva la fine degli anni 80, l’inizio dei 90 del ventesimo secolo. Il mercato dell’audio diffusione aveva un sapore un po’ particolare, un sapore non ancora caduto vittima di una piccola forma di conformismo dell’informazione e delle proposte di carattere commerciale. In quel periodo, la divulgazione tecnica, sottostava ancora a velocità “umane”, viaggiava cioè attraverso vettori quali le esposizioni fieristiche o le riviste del settore mensili, mezzi di comunicazione più vicini alle capacità di assimilazione delle persone interessate all’argomento.

 

All’epoca si era nel vivo di una rincorsa alle prestazioni del settore dell’audio diffusione in locali e in installazioni di diffusione sonora mobili. Ogni anno, gli appuntamenti più importanti del settore, richiamavano novità o particolari evoluzioni dei sistemi di sonorizzazione professionale, personale tecnico proveniente da ogni parte del mondo, mentre nel settore della audiofilia, si poteva vivere una esperienza diretta che aveva, come accennato sopra, il ritmo relativamente tradizionale in termini di velocità.

 

Gli audiofili attendevano l’uscita delle riviste top del settore, i progetti dei guru del mondo audio, dell’audio esoterico. Spendevano somme rilevanti per ordinare materiali particolari, per testare componenti elettroacustici proposti dai pionieri del settore, per assemblare amplificatori in classe A pura valvolari e altro, sempre con le tempistiche canoniche, quelle relative agli scambi epistolari, all’invio e ricezione di fax, alle telefonate, alle visite dei negozi specializzati.

 

Oggi a distanza di circa 20 anni (oltre 30 a questo punto NDR), la comparazione tra i prodotti e le tecnologie proposte sul mercato, richiede lo sterile tempo di pochi minuti, necessari ad una ricerca e navigazione sul web. La proposta commerciale è mutata radicalmente. Certo, esiste ancora il prodotto di nicchia, il dispositivo d’elite. Quella che in parte è venuta a mancare è forse una collocazione geografica dei riferimenti del settore, intesi sia come punti di vendita che di bagaglio tecnico, culturale e soggettivo.

 

L’esperienza dell’audiofilo, non era composta solamente dal gustare il risultato finale di una realizzazione audio di alto livello, ma anche dal variegato percorso che lo stesso era obbligato a compiere per perseguire ed ottenere certi risultati, dalla ricerca della linea di pensiero alla lettura di articoli, dal reperimento dei materiale alla lunga sperimentazione e condivisione dei fenomeni incontrati.

 

Oggi è sufficiente entrare sulla rete in un forum specifico, per assaporare molte volte da subito, un appiattimento delle idee e delle linee di pensiero, delle esperienze e delle conclusioni. In fin dei conti, bastano pochi minuti per rintracciare quello che, più o meno a ragione, viene considerato il top del settore HI-FI home in un gruppo di discussione, per conoscere velocemente punti di vista di centinaia di persone su un argomento, per assistere insomma, ad un poco di omogeneizzazione umana della posizione relativa ad un argomento o ad un settore.

 

Negli anni immediatamente successivi al 1990, iniziavo a prendere alcune posizioni di ideologia tecnica dell’audio. Ricordo la passione per la bi-amplificazione, ovvero quella tipologia di amplificazione priva di filtri passivi, i pensieri sulla scelta dei cavi, degli stadi di alimentazione, dei materiali e componenti utilizzati per la costruzione di diffusori audio, la configurazione in bass-reflex, i diffusori con caricamento a tromba ed il push-pull. Oggi (nel 2007 NDR) la mia visione della cosa è un pochino mutata, mi ricordo ora l’utilizzo dei finali Hexfet nei finali di potenza in classe AB complementare.

 

Una delle peculiarità di questi componenti è la ridottissima resistenza di chiusura, inferiore addirittura al decimo di ohm, solo che ora, pensandoci bene, un finale di potenza audio in classe AB complementare, non ha una sola occasione nella sua intera vita di servizio, di lavorare in piena chiusura di uno dei due finali hex-fet se non quando si guasta. A che scopo allora, decantare tra le qualità di questa applicazione, la particolare caratteristica di chiusura del componente utilizzato per gli stadi finali?

 

Un altro argomento infuocato era, ed è ancora oggi, la scelta dei cavi di collegamento tra finali di potenza e diffusori. Cavi speciali, cavi incrociati (per compensare l’impedenza residua), effetto pelle sul conduttore, capacità residue eccetera. Si sente veramente la differenza, in termini di qualità audio, tra un cavo da 2,5 millimetri quadrati utilizzato per impianti elettrici civili ed un cavo di marca al top, dal prezzo di 30 volte superiore al primo?

 

Si sente la differenza dinamica tra l’utilizzo di una coppia di condensatori elettrolitici di livellamento nello stadio di alimentazione e l’utilizzo di una coppia di batterie di condensatori di piccolo taglio e con capacità complessiva pari ai primi?

Quella resistenza residua interna dei condensatori, per ridurre la quale è meglio utilizzare molti capacitori più piccoli in parallelo, incide cosi tanto sulla qualità del suono finale?

 

Si cercava – in fase di progettazione – di ridurre il più possibile la distanza tra i componenti dello stadio di alimentazione e i finali di potenza, di utilizzare dissipatori termici grandissimi per ridurre le temperature di esercizio e quindi l’escursione termica durante la vita dei finali per aumentare l’affidabilità. Amplificatori con architettura dual-mono, cavi speciali ed i più corti possibile.

 

Con il binomio alta-fedeltà, si esprime l’attitudine di un impianto di amplificazione e diffusione del suono, di riprodurre nella maniera più affidabile possibile, il segnale di ingresso proveniente da una sorgente diretta o di registrazione. Questo significa che il segnale sarà più affidabile se attraverserà meno stadi possibile all’interno del sistema audio, sarà affidabile se i finali saranno in grado di seguire fedelmente la sinusoide in ingresso, anche in presenza di elevati carichi e velocità di variazione (frequenza) del segnale stesso.

 

Il segnale arriverà ai diffusori tanto più fedelmente quanto i cavi di collegamento avranno bassa resistenza intrinseca. Dato che questi cavi dovranno alimentare i driver dei trasduttori, che sono carichi comprendenti anche una componente induttiva, si verrà a creare (non volendo) un filtro passa-alto, formato dalla resistenza dei cavi e dalla induttanza del carico.

 

I trasduttori a loro volta, hanno il difficile compito di seguire l’andamento elettrico in forma meccanica, quindi di escursione di una membrana, di solito conica, che dovrà alternare fasi di compressione a fasi di decompressione dell’aria. Più è contenuta la massa della parte mobile del trasduttore, più è veloce l’accelerazione indotta dalla bobina mobile elettromagnetica e quindi la fedeltà di riproduzione del trasduttore. A questo punto, per non compromettere la fedeltà del trasduttore, la cassa di risonanza, il box, dovrà avere una grande rigidità per non ammortizzare i picchi di pressione e depressione indotti dal trasduttore.

 

Le spese sostenute per componenti che non forniscono risultati apprezzabili, o meglio, il cavo dal costo 30 volte superiore a quello reperibile da qualunque elettricista, ha senso? Elettricamente un cavo bipolare da 2,5 mm quadrati fornisce risultati migliori di un cavo speciale da 1,5 mm quadrati. Un cavo scadente da 4 millimetri quadrati di sezione, ha una conduttività di gran lunga superiore e costa 30 volte in meno. La domanda è ancora: si tratta probabilmente di irrazionalità, ma ha senso spendere somme elevate per questi dettagli?

 

Negli stessi anni novanta, emergevano i primi sistemi di diffusione in bi-amplificazione che utilizzavano un sistema a microprocessore digitale per il processo del segnale audio, operato prima dell’invio agli stadi finali. La mira era quella di estremizzare il rapporto tra dimensioni dei diffusori e la pressione acustica riprodotta da questi. Il processo del segnale è effettuato su più piani. Uno di questi è rappresentato da un taglio molto ripido delle frequenze che il diffusore non è in grado di riprodurre con adeguata efficienza e comunque delle frequenze considerate inutili per la percezione umana.

 

Trattandosi di bi-amplificazione, si ha un elemento per le basse frequenze, pilotato direttamente da un finale di potenza senza altri elementi passivi nel percorso elettrico, ed un elemento satellite per il restante spettro di frequenze, generalmente a due vie, composto ovvero da un trasduttore per frequenze medie e medio basse, ed uno per le frequenze alte.

 

Il driver del modulo per basse frequenze è pilotato con un segnale che, viene filtrato digitalmente dalle frequenze più gravi, ovvero quelle più prossime allo spettro subsonico. L’eliminazione di queste frequenze gravi, per quanto opinabile in termini di fedeltà, porta alcuni vantaggi termo-meccanici. Considerando che le frequenze più basse corrispondono generalmente ai livelli di tensione più alta nel segnale audio, l’eliminazione di queste porta ad una riduzione della potenza termica dissipata dalla bobina mobile del driver.

 

Un altro vantaggio deriva dal fatto di ridurre le escursioni meccaniche del cono diffusore. A parità di tensione di pilotaggio infatti, con il ridursi della frequenza, il cono guadagna tempo di accelerazione, raggiungendo, sempre a parità di ampiezza del segnale di pilotaggio, una percorrenza più vasta e quindi maggiore escursione meccanica che avvicina il trasduttore al punto di over-range.

 

Riassumendo, il taglio delle frequenze più basse, difficilmente percepibili (solitamente) dall’orecchio umano, consente una minore dissipazione termica e una minore escursione meccanica del cono diffusore, guadagnando una maggiore riserva di potenza termica dissipabile e una minore distorsione del segnale riprodotto.

 

Il processore ha anche una funzione di protezione termica, realizzata con il calcolo della presunta potenza termica dissipata nelle varie condizioni di utilizzo dei driver e il relativo controllo di non superamento del limite massimo consentito (taglio di potenza).

 

Nella sezione dei satelliti, il processore funziona in maniera analoga. Il taglio digitale delle frequenze avviene sui due estremi dello spettro di frequenze riprodotte dal trasduttore delle medie frequenze, e sui due estremi del driver delle alte frequenze. Qui, sul trasduttore delle alte frequenze, avviene il taglio delle frequenze più alte considerate difficilmente percepibili dall’orecchio umano. Sembra infatti che molte persone, non riescano ad avvertire suoni dalle frequenze superiori ai 16 mila hertz circa.

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Il lavoro derivante dalla riproduzione di frequenze più alte, rappresenta un opinabile spreco in termini di dissipazione termica. Finali di potenza molto alta e con grande capacità dinamica, completano il quadro di alcuni sistemi di controllo digitale del processo di diffusione sonora. L’assenza di filtri passivi sulle linee di collegamento ha il vantaggio di mantenere un ottimale fattore di smorzamento dei trasduttori.

 

La capacità di smorzamento infatti, migliora con la riduzione delle resistenze parassite presenti sui collegamenti tra lo stadio finale, che essendo munito di retroazione, compensa le resistenze parassite fino al nodo di collegamento dei finali stessi, e le bobine elettromagnetiche dei trasduttori. Il trasduttore elettromagnetico infatti, fa parte in qualche modo delle macchine elettriche reversibili. Un movimento meccanico della bobina mobile infatti, produce una variazione della differenza di potenziale ai capi della bobina stessa. Se la bobina si trova in cortocircuito, il complesso elettromeccanico risulterà essere più frenato.

 

Con il ridursi delle resistenze residue sul collegamento tra finale di potenza e bobina mobile, si riduce anche il movimento incontrollato del trasduttore e questo significa che l’andamento dell’escursione meccanica della bobina mobile seguirà più fedelmente l’andamento elettrico del segnale audio, introducendo minori distorsioni rispetto al segnale audio originale. Per questo motivo, la scelta di filtrare attivamente le frequenze, quindi prima dello stadio di potenza, contribuisce al migliore fattore di smorzamento e a contenere le distorsioni rispetto al segnale iniziale.

 

Un altro fattore determinante per la riproduzione fedele del suono, è la massa delle parti mobili dei trasduttori. Per fare si che la membrana o cono del trasduttore segua fedelmente il segnale elettrico proveniente dagli stadi finali di potenza, è necessario che la massa delle parti dinamiche sia il più possibile contenuta, mantenendo però una adeguata rigidità strutturale. Con l’aumentare della massa delle parti mobili, aumenta anche l’inerzia durante le inversioni di verso della bobina e del complesso mobile.

 

Maggiore è l’inerzia del gruppo dinamico, maggiore sarà il ritardo delle compressioni e decompressioni rispetto al segnale di pilotaggio e quindi una non perfetta fedeltà di riproduzione del segnale originale. Un’altra conseguenza della massa delle parti mobili, è la riduzione della frequenza massima riproducibile.

 

Un trasduttore di piccole dimensioni e con ridotta massa del complesso mobile, avrà buone capacità di seguire frequenze di pilotaggio alte. Un trasduttore di grandi dimensioni e con elevata massa sarà adatto solo alla riproduzione di basse frequenze. Alcuni produttori, hanno per questi motivi scelto di utilizzare la fibra di carbonio per la realizzazione dei coni di trasduttori per basse e medie frequenze.

 

La fibra di carbonio consente di ottenere dei coni molto rigidi e resistenti, mantenendo una massa complessiva molto bassa e quindi, di ottenere dei trasduttori che sono in grado di riprodurre con una certa fedeltà e linearità, uno spettro di frequenze maggiore rispetto a quanto possibile con l’utilizzo di polimeri, carta e altri materiali più diffusi.

 

I limiti di pressione acustica prodotti da trasduttori, sono per lo più imposti dalla capacità di dissipazione termica dei driver. Nei trasduttori impiegati per riprodurre basse e medio-basse frequenze, si è ricorsi negli ultimi anni sempre più frequentemente ai sistemi autoventilanti, ovvero ad architetture che consentono di far circolare attraverso il traferro e attraverso un foro posto sulla parte posteriore del gruppo magnetico, un certo flusso di aria che investendo la bobina, trasferisce parte della energia termica dissipata dalla bobina stessa verso il corpo magnetico e verso l’esterno del trasduttore.

 

Sui molti trasduttori per alte frequenze si è assistito ad un massiccio uso del sistema ferrofluido che consiste nell’annegamento in olio della bobina situata all’interno del traferro, mentre in tutti i tipi di trasduttori si è fatto impiego di supporti speciali in kapton o alluminio per l’avvolgimento della bobina di filo di rame.

 

Alcuni progetti di diffusori acustici, comprendono anche l’utilizzo di celle di equalizzazione passive. Si tratta generalmente di gruppi RC (resistenza-condensatore) che hanno la funzione di compensare la variazione dell’impedenza delle bobine mobili dei driver. Dato che le bobine, per la loro architettura, hanno un certo valore di impedenza, ci si troverà di fronte ad un carico elettrico variabile in funzione della frequenza di pilotaggio.

 

All’aumentare della frequenza e a parità della tensione di pilotaggio infatti, vi sarà un carico inferiore e quindi un passaggio minore di corrente. Dato che, come visto in precedenza, vi saranno sempre delle resistenze residue sui collegamenti tra il finale di potenza ed il trasduttore, il finale stesso si troverà a lavorare in condizioni diverse in base alla frequenza di pilotaggio.

 

Le celle di equalizzazione, incorporano un capacitore che ha comportamento opposto a quello della bobina mobile del driver, i capacitori infatti, tendono ad aumentare il carico all’aumentare della frequenza, rendendo più lineare la risposta elettrica del trasduttore, consentendo allo stadio finale di lavorare su un carico che ha una risposta elettrica quasi costante durante tutto lo spettro di frequenze audio. Le celle di equalizzazione possono essere utilizzate su ogni trasduttore elettromagnetico.

 

Ma chi è l’audiofilo? Il termine indica colui che prova amore per l’audio, per l’esperienza dell’ascolto musicale. L’audiofilo è alla continua ricerca della pulizia del suono, della riproduzione fedele del suono. Credo esistano però componenti soggettive e componenti oggettive.

 

L’alta fedeltà ad esempio, dovrebbe essere un fattore oggettivo. La fedeltà è la capacità del sistema di diffusione sonora, di riprodurre in maniera il più possibile affidabile, quindi pari all’originale, un segnale audio. Dobbiamo ragionare un attimo sulla genesi del segnale audio. Salvo che non si tratti di un segnale di sintesi, il segnale musicale proviene da strumenti musicali (a fiato, a corde, a percussione ecc) e dalla voce umana.

 

Tutti questi suoni generati, che sono una successione di compressione e decompressione dell’aria nella quale si trasmettono, vengono nella maggioranza dei casi rilevati da microfoni. I microfoni sono piccolissimi sensori molto simili ai trasduttori elettromagnetici, utilizzati però all’inverso, ovvero, trasformano una energia meccanica in una energia elettrica.

 

Le onde di compressione e decompressione generate dalla sorgente sonora, investono una piccolissima membrana che muovendosi saldamente ad una piccolissima bobina elettromagnetica entro un campo magnetico, da origine ad una debole differenza di potenziale. Questa differenza di potenziale, seppure con un lieve ritardo, segue l’andamento delle curve di pressione e depressione del suono generato dallo strumento.

 

Questa precisazione tecnica è necessaria per comprendere che l’alta fedeltà, si ha oggettivamente non in presenza di un bel suono, ma in presenza di un suono che venga riprodotto dai trasduttori e dall’intero impianto di amplificazione elettrica del segnale, il più possibile vicino a quello captato dai sensori microfonici e ancora il più possibile vicino a quanto generato dallo strumento musicale.

 

Le differenze rispetto alla fedeltà del segnale originale possono portare a valutazioni soggettive, ovvero essere interpretate in maniera positiva o negativa in base alla propria esperienza personale e quindi ai propri gusti. La valutazione puramente oggettiva dovrebbe essere limitata alla valutazione della capacita, appunto, di riprodurre fedelmente i suoni a prescindere dal loro valore estetico.

 

Nella vita di alcuni audiofili però, vi sono alcune scelte tecniche che sono opinabili, almeno dal punto di vista della pura fedeltà. Che l’utilizzo di certe architetture e la scelta di certi materiali portino ad una variazione del suono considerata soggettivamente positiva, credo sia comprensibile e del tutto rispettabile.

 

Quello che forse risulta essere almeno opinabile, è il risultato in termini di fedeltà di riproduzione del suono, di certe configurazioni o scelte tecniche. Alcune persone ritengono ad esempio di sentire miglioramenti del suono, utilizzando speciali condensatori di livellamento negli stadi di alimentazione dei finali audio in classe AB complementare. Il risultato strumentale approfondito dovrebbe essere in grado di rilevare variazioni sul segnale di uscita dei finali e quindi di rilevare eventuali e presunti miglioramenti.

 

Elettricamente, essendo il finale audio munito di retroazione, non dovrebbero esserci differenze tra l’utilizzo di una adeguata coppia di capacitori ed una coppia di capacitori dalle eccellenti caratteristiche e prestazioni, non almeno fino a che non ci si avvicina alla zona di taglio delle semionde del segnale, zona che comunque è fuori dalla norma perché rappresenta l’introduzione alla tanto temuta distorsione armonica.

 

Eppure, alcune persone asseriscono di percepire un miglioramento del suono dopo la sostituzione dei condensatori di livellamento presenti sui rami di alimentazione. Questo è solo uno dei tanti esempi che è possibile formulare. Il motivo? Una risposta potrebbe essere individuata nell’effetto placebo. L’effetto placebo però esiste. Esistono molti casi in cui, somministrando un placebo si hanno dei netti ed immediati miglioramenti e questi, a prescindere dalla fondatezza scientifica o meno, sono da considerarsi esperienze concrete.

 

Il placebo in medicina, non contiene nessun elemento attivo o lenitivo ma crea una aspettativa in grado di influenzare il sistema nervoso riducendo in certi casi la sintomatologia. Allora proiettando in concetto sull’argomento audio, parlando di audiofilia, di passione per l’ascolto musicale, che è comunque una esperienza dal valore con una importante componente soggettiva, come è possibile confutare una percezione causata da un effetto placebo, anche se di natura tecnica?

 

Credo non si possa che accettare e rispettare questa eventuale percezione. Un po’ come avviene con il credere o meno in un Dio. Anche se non credo minimamente in un Dio che supervisiona me ed il resto, credo, o meglio sono certo, che molte persone vi credono e quindi qualcosa avviene a livello di esperienza soggettiva in queste persone.

 

Colui che crede in qualche cosa ne trae beneficio o ne subisce le conseguenze negative, in ogni caso ne è modificato nella percezione anche se la presunta entità non esiste su un piano di unanime accettazione o su un piano scientifico.

 

Il fatto che non esista oggettivamente, che non venga rilevata da strumenti, che non sia controllabile e verificabile, tutto questo, non impedisce che sortisca effetti pari a quanto possa sortire qualcosa di scientificamente provato. Ne deduco quindi, che anche nella esperienza dell’ascolto musicale, alcuni fattori, anche se privi di riscontro scientifico e strumentale, possono modificare in meglio la percezione stessa e quindi il valore estetico della esperienza di ascolto.

 

Casadei G. – 2007