Occhiali intelligenti e social: stiamo guardando il mondo o solo cercando di postarlo?

Immagina di camminare per strada, godendoti un tramonto mozzafiato, e invece di tirare fuori il telefono, alzi appena lo sguardo e… click. Foto scattata. Con un piccolo gesto, o persino con un comando vocale, la pubblichi direttamente su Instagram. Nessun filtro, nessuna distrazione, tutto in tempo reale. Benvenuti nell’era degli occhiali intelligenti: il nuovo strumento di seduzione digitale per chi non vuole perdersi nemmeno un secondo di “contenuto”.
Le nuove generazioni di smart glasses promettono una rivoluzione. Sono leggeri, discreti e dotati di fotocamere ad alta risoluzione, microfoni, altoparlanti, connessioni Bluetooth e Wi-Fi. Alcuni modelli si integrano direttamente con le app dei social network, permettendo la pubblicazione istantanea di foto, video o storie, senza passare per lo smartphone. Per qualcuno è un sogno. Per altri, un incubo con lenti fotocromatiche.
Da una parte, c’è la promessa di una condivisione più “autentica”. Addio alle pose studiate davanti allo specchio del bagno o alle inquadrature provate dieci volte prima di trovare la luce giusta. Gli smart glasses ti permettono di mostrare il mondo come lo vedi tu, in tempo reale. Una sorta di live blogging visivo, ma con meno filtri e più spontaneità. E se da un lato questo potrebbe portare a contenuti più genuini, dall’altro apre un vaso di Pandora etico e culturale.
Perché diciamocelo: davvero vogliamo vivere ogni momento con l’occhio già pronto a registrare e il cervello già connesso al feed? Con gli occhiali intelligenti, ogni momento diventa potenzialmente un contenuto. Ogni caffè al bar, ogni passeggiata al parco, ogni sguardo curioso per strada può diventare una storia, un reel, un TikTok. Non stiamo forse rischiando di trasformare la realtà in un palcoscenico costante per gli altri, anziché viverla per noi stessi?
E poi c’è la questione dell’invasione. Se prima una persona che ti riprendeva col telefono era facile da notare, ora potrebbe bastare un’occhiata di troppo. Con occhiali capaci di registrare senza che nessuno se ne accorga, il confine tra pubblico e privato si fa più sottile. Cosa succede quando possiamo filmare chiunque, ovunque, e postarlo in diretta? Il consenso alla condivisione diventa un optional? O peggio, un concetto obsoleto?
I più entusiasti parlano di “democratizzazione del contenuto”, dove chiunque può raccontare la propria visione del mondo senza filtri tecnologici ingombranti. Ma forse dovremmo chiederci se questa visione è ancora nostra o se, piuttosto, è plasmata da quello che crediamo vorranno vedere gli altri. Gli occhiali intelligenti non solo ci danno occhi digitali, ma anche un nuovo punto di vista condizionato dall’idea costante di essere visti.
Non è un caso che marchi come Meta e Ray-Ban stiano investendo massicciamente in questi dispositivi. Per loro, ogni sguardo è un’opportunità di engagement. E ogni contenuto catturato dagli occhiali è una pepita d’oro nel grande fiume dei dati. Stiamo diventando i registi inconsapevoli di una gigantesca serie reality globale, trasmessa h24 su tutte le piattaforme. E il pubblico siamo noi, ma anche gli algoritmi.
Certo, non tutto è distopico. Gli smart glasses possono avere usi creativi e persino poetici. Pensa a un musicista di strada che condivide una performance in prima persona, o a un viaggiatore che racconta il proprio cammino senza filtri. Ma come ogni tecnologia, anche questa sarà ciò che ne faremo. E la storia recente dei social ci insegna che il confine tra uso e abuso è sottile come una lente antigraffio.
In fondo, gli occhiali intelligenti ci pongono davanti a una domanda provocatoria: siamo davvero interessati a catturare la realtà, o vogliamo solo confezionare la nostra versione più “instagrammabile” della vita? Forse, più che vedere meglio, dovremmo imparare a guardare diversamente. Anche senza postare.